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7 modi di dire tipici di Roma

Roma è una città famosa in tutto il mondo per le opere d’arte, i musei, le chiese, le ville, i vicoli e tanto altro. È una capitale dai molti volti: da una parte il fascino dell’antichità e dall’altra la confusione e il traffico in cui molti romani si imbattono quasi ogni giorno. Riserva mille soprese e se si è romani s’impara a cavarsela con leggerezza, a non arrabbiarsi se qualcosa va storto e a sfoderare la tipica e leggendaria ironia romana.

Si sa, infatti, che gli antichi romani avevano un forte senso dell’umorismo, amavano battute o barzellette e perfino gli imperatori accettavano, per proprio divertimento, d’essere presi in giro. L’ironia è il contorno che colora la storia di Roma attraverso stereotipi e fili conduttori che ci riportano direttamente alla romanità attuale. Il senso dell’umorismo è profondamente connesso col carattere romano che è spontaneo, sincero, generoso, leale ma anche amante dell’ozio e della presa in giro. Tali caratteristiche trovano la loro naturale espressione nel dialetto romano che si caratterizza per le sue forme, i modi di dire vivaci, schietti e, spesso, molto divertenti. Ne elencheremo di seguito alcuni, evitando in questa sede quelli più triviali.

Modo di dire che indica una persona che è dura di comprendonio oppure ostinata in modo eccessivo. Supponiamo, ad esempio, che dei bambini persistano a giocare rumorosamente proprio sotto le finestre di casa, dopo qualche cortese invito ad abbassare il volume della voce, potremmo richiamare la loro attenzione dicendo: “A regazzi’, allora séte de coccio!” Cioè: “ragazzi, proprio non lo volete capire” (che non dovete fare rumore) Il tutto potrebbe essere reso ancor più efficace se pronunciando la frase, unissimo il gesto di una mano chiusa a pugno che batte sopra una superficie rumorosa: magari un tavolo o, in questo caso, potrebbe essere anche il palmo dell’altra mano.

7 modi di dire tipici di Roma

È un’espressione utilizzata quando un abbinamento risulta perfetto o quando una cosa ne completa un’altra. Il cacio, termine generico per indicare il formaggio, insaporisce i maccheroni rendendoli ancor più gustosi: da questo concetto nasce, dunque, il detto romano. Le origini risalgono a oltre mille anni fa: nel Medioevo, infatti, la pasta iniziò ad essere gustata con una spolverata di formaggio.

Modo di dire per indicare che si è fatto tardi. Immaginiamo una serata passata a chiacchierare piacevolmente fra amici magari stuzzicando qualcosa. A un certo punto qualcuno, accorgendosi che è passata già da un po’ la mezzanotte, potrebbe dire agli altri: “Oh, so’ quasi le due: s’è fatta nà certa, namosene a dormì!” che sta per “Sono quasi le due, si è fatto tardi, andiamocene a dormire!”.

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L’origine di questo modo di dire è incerta. Alcuni sostengono derivi dal “cuco”, un fischietto che fu uno dei primi giocattoli sonori dell’antichità. Altri, invece, pensano si tratti di una deformazione onomatopeica di Habacuc, uno dei dodici profeti di Israele, rappresentato sempre come un vecchio pensoso dalla lunga barba. È, dunque, evidente che i romani, e non soltanto loro, usano questa frase per riferirsi a qualcosa o a qualcuno che non è più giovane. Nel traffico romano, per esempio, potremmo sentire qualcuno dire: “Anvedi (guarda), quello che machina: vecchia come er cucco!”

Iniziamo col dire che il detto completo è il seguente: “ Er giro de Peppe intorno alla rotonda appresso alla Reale”. I romani utilizzano questa espressione quando si fa un giro assurdo per raggiungere un luogo, quando si cerca per ore parcheggio o ancora quando si sbaglia strada. Il Peppe a cui si riferisce il detto è niente meno che Giuseppe Garibaldi, la rotonda è quella del Pantheon e la “Reale” è il corteo funebre per la morte del re Vittorio Emanuele II di Savoia. Nel 1878 venne organizzato, infatti, un corteo funebre che fece due giri attorno alla piazza del Pantheon per salutare il defunto re. Garibaldi, non essendo a conoscenza dell’accaduto, si unì al corteo compiendo anche lui due giri della piazza invece di rimanere vicino alle altre autorità davanti all’entrata del monumento. Questi due giri furono notati da molti al punto da dar vita al detto “Fa er giro de Peppe.”

Questo detto rispecchia profondamente l’ironia romana, è un invito a non prendersela se qualcosa va storto, se si è colpiti dalla sfortuna o se, semplicemente, si deve fare qualcosa che proprio non ci aggrada. Ingrugnirsi deriva dal termine grugno che è il muso del maiale. Immaginiamo, dunque, una spensierata cena a casa di amici alla fine della quale con tono scherzoso e un invito alla collaborazione ci potrebbero dire: “mo’ i piatti li lavi te! Daje: a chi tocca nun se ‘ngrugna” e cioè: “adesso i piatti li lavi tu! Coraggio: a chi tocca non se la prende.”

È un’espressione utilizzata per indicare la ripetizione di parole o azioni. Non è un caso, infatti, che il tono che accompagna questa parola è spesso scocciato e annoiato. Il dialetto romanesco è pieno di coloriture e troviamo daje (forza, sbrigati), eddaje (rafforzativo di daje), daje tutta (impegnati al massimo, ce la fai sicuramente) e aridaje. Supponiamo, ad esempio, che prima di uscire da casa ci dimentichiamo spesso il cellulare, una volta usciti frugandoci con impazienza nelle tasche potremmo dire: “aridaje, me lo so’ scordato pure oggi” che sta per “me lo sono scordato di nuovo pure oggi”.

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Questo elenco di modi di dire non può certo considerarsi esaustivo e ce ne sarebbero molti altri. Ci piace pensare che, ad esempio, ci sia qualcuno che, prima di un incontro romantico, si rivolga alla città eterna canticchiando fra sé e sé le note della celebre canzone Roma nun fa la stupida stasera. La storia di Roma si può conoscere, infatti, anche attraverso le splendide canzoni a lei dedicate ma di questo, magari, parleremo in un’altra occasione.

Imparare queste frasi italiane non solo renderà il tuo viaggio a Roma più piacevole, ma mostrerà anche alla gente del posto che ti impegni a comunicare nella lingua locale.

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